E se dicessi che sono stanco? E se per una volta lo dicessi fuor di metafora?
Ecco, l'ho detto.
Sono stanco delle spiegazioni, delle giustificazioni, del silenzio, della comprensione, delle incomprensioni, dei silenzi, delle assenze, delle partenze, delle fughe, del rancore, dell'odio, dell'affetto e dell'amore.
Stanco di non capire, di parlare, di raccontare, di essere diverso, speciale (speciale?), singolare, sensibile, attento, premuroso, comprensivo, gentile, educato, disponibile, silenzioso, accorto, pulito, impunito, equilibrato, ormai frequentemente squilibrato, fedele, leale, timoroso e timorato (contenuto, sobrio, morigerato).
Stanco di accettare compromessi, di cercarli, costruirli, sopportarli per qualcosa che non c'è, che non c'era, che non ci sarà.
Stanco di essere un bravo ragazzo, di trattenere le parole, non parlare, non urlare, non insultare, non aggredire, discutere, acconciare, sistemare, non picchiare (non alzare le mani, giovanotto!). Non volere ciò che vuoi, non combattere per ciò che vuoi, non parlare con ciò che vuoi, non parlare di ciò che vuoi.
Stanco di tenere tutto dentro e sopprimere e comprimere, schiacciare, dimenticare... DIMENTICARE, e nel frattempo ricordare e rivivere e tornare a sanguinare, gocciolare, rosso e bianco, sangue e pavimento, niente altro negli occhi che ricordi di cose viste ieri e comprese oggi.
Stanco di non guardare, non parlare, non chiamare, non cercarmi, non lo fare, non si può, non è il caso, non sei tu, non ho voglia, non ti amo, non lo avevi capito?, non lo so, non lo dire, non esiste, non è tempo, non aspettare, non sperare (o sarai l'ultimo a morire).
Stanco di me, stanco di te, stanco di noi, ma quale noi? Stanco di un voi che non mi piace, stanco di essi che hanno goduto dello spettacolo senza pagare e sono usciti dal teatro senza applaudire.
Sono stanco di tutti gli aggettivi che ho elencato, di quelli che ho dimenticato, di quelli a cui non ho pensato, di quelli a cui hai pensato tu.
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