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venerdì 28 gennaio 2011

Di esperimenti di scrittura creativa a otto mani

SALLY

L: "Quando ero piccolo credevo a tutto ciò che mi dicevano, ora non ceredo più neanche a ciò che vedo..."

E: ...certo, ci sono stati , a sprazzi, periodi in cui sentivo di potermi fidare, per lo meno del vecchio e della sua Sally, ma poi ho capito che mi stavo solo ingannando.

V: Mi piaceva Sally. Il vecchio la teneva in perfetto stato, con una cura quasi maniacale. Sempre pulita, lucida, gli interni in pelle e il profumo di arbre magique ogni volta che entravo. Sembrava un salotto, mi sentivo a casa.

S: Già, la cara vecchia Sally. Mi dispiacque quando per errore tolsi il freo a mano e la feci scivolare dolcemente verso la scarpata. Quel bastardo, in un modo o nell'altro, avrebbe dovuto pagare ciò che mi aveva fatto.

L: Tornando a casa avevo ancora il suo odore addosso, stavo impazzendo, avrei voluto dissolvermi nell'acido, ma ero certa che non sarebbe bastato... chiudevo gli occhi e vedevo le sue parole e sentivo le sue mani, annusavo i suoi gesti.

E: Tutto era cominciato quella sera, credo fossero all'incirca le 6, perchè ho ancora in mente che il sole mi feriva lo sguardo attraverso il parabrezza di Sally. Ero seduto di fianco al vecchio, mi aveva promesso che mi avrebbe accompagnata alla festa di primavera....sapete, agiocare con gli altri bambini, sulla giostra.

V: Ero elettrizzato, non vedevo l'ora di arrivare. Ero corso incontro alla macchina quasi volando. La mamma mi aveva vestito a festa, avevo passato almeno mezz'ora a cercare di pettinarmi e lei, dopo avermi guardato per un po' divertita, mi aveva tolto il pettine dalle mani riavviandomi i capelli e facendomi una carezza affettuosa. A quel punto avevo sentito il clacson e mi ero precipitato fuori.

S: La brezza della sera, io, Sally e il vecchio sfrecciavamo come il vento sulla 635, ma ancora non era perfetto. Come mi leggesse nel pensiero chiese alla rossa di appoggiarsi dolcemente a lato strada e lei senza esitare ubbidì. Scendemmo insieme e recuperammo il borsone dal baule. Insignificante e vitale, la collanina di perle che il vecchio mi aveva comprato al mercatino due settimane prima. Jenny, il vecchio conosceva Jenny.

E: Come se niente fosse il vecchio torno verso Sally, quasi dimenticandosi della mia presenza. Poi, all'improvviso, si fermò a metà strada pensando a capo chino, come se ad un tratto si fosse ricordato qualcosa di importante. A quel punto volse lo sguardo verso di me, che ero ancora in piedi vicino al baule, e mi accorsi che i suoi occhi erano cambiati... non un cambiamento fondamentale, si erano adombrati di un misto di malinconia e rancore. Il tutto durò un lampo, poi il vecchio ritorno su Sally e mi disse "sali, o ci perderemo quella dannata festa". Penso che fu allora che iniziai a capire.

L: Entrai nel vortice... Io, Sally, il vecchio e Jenny.. Povera piccola Jenny. Per me era tutto, sapeva starti accanto, ti guardava dentro e profumava di buono. No, non era come per gli altri, non la vedevo come una stupida barboncina. Jenny profumava di libertà. Mi ha liberato dal mondo, dal vecchio, da Selly, ed è ancora qua con me. Ora tocca a me liberarmi di lei. Aiutatemi. La amo troppo, ho bisogno di distruggerla

V: Ora ho voglia di fumare ma non riesco a ricordare dove diavolo ho messo le sigarette. Frugo nella borsa e cosa ci trovo? La collana, quella stessa collana di perle di tanti anni fa. E' strano venga fuori proprio adesso, davvero strano.

E: Non ci voleva in questo momento, non proprio ora. Sono già abbastanza sottosopra con il rinnovo del personale, con le circolari sempre più minacciose e poi... beh, e poi non mi arrivano. proprio ora che avrei bisogno di uno slancio per non vedere tutto nero, mi sento trattenuta, anzi, trascinata verso ricordi che speravo di aver rimosso. Vecchio del cazzo.

L: E' stato mentre guardavo quelle carte che ho avuto paura. I conti non tornavano e nel frattempo è arrivata la risposta del medico. Jenny, colei che ho amato e ho cercato di distruggere per troppo amore, senza riuscirci, proprio lei, con la sua rabbia, mi ha ucciso.

ON AIR: Nick Cave & The Bad Seeds - Where the Wild Roses Grow

venerdì 2 luglio 2010

Di allontanamenti e strade che conducono a casa

Dio, era una vita che non passavo da queste parti... come stai, vecchio blog? Raccontami, cosa hai fatto in tutto questo tempo? Sei stato letto da molte persone? Hai ripensato alle cose che ci siamo detti? No, sul serio, come te la passi?

Io sto bene, ho pensato spesso di passare a salutarti ma ogni volta saltava fuori qualcosa di più urgente e meno impegnativo. Ho fatto i conti con il mio passato e sai, il saldo non è esattamente positivo, ma va bene così, sono contento.

Ora come ora mi riesce difficile fermarmi a scrivere, forse perché sono uno di quelli che pensa a lungo a quello che gli succede ma che poi tira fuori tutto d'istinto, senza preoccuparsi troppo di quello che accadrà dopo.

Eppure mi sei mancato, mi è mancato fermarmi qui per un po' a chiacchierare, cercando di trovare la corretta messa a fuoco che nella confusione del vivere è così difficile trovare.

Spesso la sera mi chiedo chi sono davvero. Si, lo faccio ancora e probabilmente non smetterò mai di farlo. A volte mi rispondo che sono io, niente altro, e che in fondo sono più che sufficiente. Altre volte avrei bisogno che qualcuno mi rassicurasse, che mi sussurrasse gentilmente che sono qualcuno, che valgo qualcosa. Quando mi sento così cerco di non soffermarmi sui miei pensieri, mi ripeto che è un momento e che passerà presto. Quando mi sento così mi ricordo del perché tu esisti e sapere che sei qui, perfettamente immobile, fermo dove ti ho lasciato, è consolante.

Quando ho scelto l'immagine che mi avrebbe rappresentato ai tuoi occhi l'ho fatto perché mi aveva colpito, mi era piaciuta da subito. Un uomo sotto la pioggia, solo con il suo ombrello. Una sagoma nera su cui spicca un cuore rosso acceso. Non pensavo che anche a distanza di tempo l'avrei sentita così mia. Mi rappresenta meglio di quanto potrebbe fare qualunque foto.

Sei stato paziente e questo io lo apprezzo, credimi. Hai assecondato i miei sbalzi d'umore senza mai farmi pesare gli innumerevoli difetti di cui pure sei stato testimone, e in cambio io ti ho aperto il mio cuore, raccontandoti e raccontandomi nella speranza di capire e di capirmi.

E adesso sto pensando a quello che ho appena scritto rendendomi conto che, come al solito, ho parlato di niente. Ma a te non dispiace, e io sono contento perché era tempo che ti ritrovassi. A presto, vecchio blog... a presto.

ON AIR: Tim Hanauer - Dream a Better Way

lunedì 15 marzo 2010

Me, myself and everyone who wants to come [chapter 1]

Ho sempre pensato di me che sarei diventato un uomo in carriera, uno di quei colletti bianchi chiusi nel loro bell’ufficio a lavorare per far si che il mondo continui a girare. Credevo di essere indispensabile, come se ogni cosa senza di me potesse smettere di esistere. “Se un albero cade in una foresta dove nessuno può sentirlo, fa rumore?”, è una domanda che mi pongo spesso, si tratta di un concetto che mi affascina. Un tempo avrei risposto che lontano da orecchie attente non può esistere suono. Ma il tempo mi ha cambiato, oggi credo che anche nel più assoluto silenzio il rumore dello schianto sarebbe assordante e pensare a questo mi fa rivalutare anche le convinzioni che avevo elaborato su di me. Non sono indispensabile; la mia presenza è temporanea, la terra che calpesto, il sole che la riscalda, la pioggia che la bagna, esisterebbero anche se io non ne avessi coscienza. Le impronte di qualcun altro copriranno le mie, scorderò i posti in cui i miei passi mi hanno condotto ma quei posti continueranno a vivere e a farsi ammirare da chi ci arriverà dopo di me. E chi li guarderà avrà occhi diversi, noterà cose che a me sono sfuggite, lasciando altre impressioni e altri ricordi.


Quello che voglio dire è che non sento più il bisogno di dimostrare al mondo chi sono. Intendiamoci, non dico che non mi piacerebbe essere ricordato, penso sarebbe bello che qualcosa di me mi sopravvivesse, del resto la vita è così breve che è impossibile non sognare di poter raggiungere l’immortalità. Si, mi piacerebbe dare il mio piccolo contributo al mondo, renderlo, in qualche maniera, un posto più bello, ma finalmente mi rendo conto che non è poi così importante e che tutto quello che si può fare, qui e adesso, è vivere guardandosi attorno con continua meraviglia, ringraziando di poterci essere e di poterne parlare.


C’è una cosa che però desidero da che ho memoria dei miei sogni. E’ la mia casa, non semplicemente una casa, un luogo da raggiungere dopo una giornata di lavoro, non soltanto quattro mura che mi separino da tutto ciò che è fuori, no, è la mia casa. E la immagino piccola, accogliente, luminosa. Si, vorrei che la mia casa avesse tante finestre, vorrei che fosse inondata dalla luce del sole per tutto il giorno, e che i raggi del sole scolpissero ogni oggetto al suo interno tracciandone nettamente i contorni. Mi piacerebbe essere accolto, non appena aperta la porta, dal profumo di fiori che so non avrei la pazienza, o la costanza, di curare. Tappeti coprirebbero il pavimento, perché per sentirla davvero mia dovrei sentirla, con tutto il corpo, stendermi per terra a guardare in su immaginando su di me non un semplice soffitto bensì un intero cielo punteggiato di stelle. E librerie a tappezzare le pareti, riempite fino a traboccare dei libri che ho letto, quelli che ho amato, quelli che leggerò, e delle canzoni che ascolto, quelle che mi fanno pensare al passato assieme a quelle che mi spingono verso il futuro. Le pareti sarebbero colorate, che il bianco asettico non fa per me, ma non una scelta casuale. Ogni angolo avrebbe il suo colore, perché ogni angolo sarebbe associato a un particolare stato d’animo; e poi vorrei che un muro rimanesse libero di parlare di me, delle parole che scrivo, delle immagini che porto dentro e che nemmeno so come esprimere. Vorrei che il cuore della mia casa fosse racchiuso in un divano, grande e comodo, su cui rilassarmi quando sono solo e dove invitare a sedere ospiti e amici per chiacchierare, discorsi futili o questioni di importanza suprema, vorrei che la mia casa facesse sentire chi vi entra a proprio agio, libero da qualsiasi tipo di formalismo. Appenderei quadri alle pareti, e un milione di foto per non dimenticare mai chi sono. Vorrei che la mia casa fosse come me.


Forse però il problema vero è che neppure io sono sicuro di sapere chi e cosa sono. C’è stato un momento in cui credevo di averlo capito, sentivo che forse, finalmente, il mondo aveva deciso di accogliermi e di svelarmi quale sarebbe stato il mio futuro. Solo col tempo ho capito che quella che avevo preso per illuminazione era in realtà solo un temporaneo abbaglio. La luce sfolgorante di quello che avevo a lungo e intensamente desiderato mi aveva abbacinato e confuso. Prenderne coscienza non è stato affatto né facile né tantomeno piacevole. Ho dovuto rinunciare ad alcune certezze, a partire da quelle sull’amore e sul destino, e queste crollando, ne hanno inevitabilmente trascinate con sé altre. Chissà, a pensarci questo ribaltamento di prospettive potrebbe essere stato un bene, considerando che mi ha portato a interrogarmi su chi sono. Ho dovuto ricominciare dalle fondamenta ad edificare una nuova consapevolezza di me e non è semplice, i preconcetti più difficili da cancellare sono quelli che riguardano sé stessi.

lunedì 18 maggio 2009

Del desiderio di avere sangue blu e altre fantasie

Salve a tutti, mi presento, sono V. [ogni riferimento a nomi o proprietari di blog realmente esistenti è puramente casuale] e sono un Principe Azzurro.

O meglio, lo ero. Si, perchè da ragazzo avevo un sogno, volevo una favola che parlasse di me, una favola che i papà avrebbero raccontato alle loro figlie prima di lasciarle addormentate a sognare un mondo di cui avrebbero potuto essere regine. Soprattutto, volevo una principessa da salvare e con cui poter vivere "per sempre felici e contenti". Per questo anni fa mi iscrissi all'Università delle Nobili Gesta, facoltà di principismo (nome stupido, pensavo, ma quel che importava era il risultato). A dispetto delle difficoltà mi laureai col massimo dei voti, corsi di galanteria, portamento, dizione, bacio romantico, tutti superati brillantemente.

All'epoca pensavo che il futuro sarebbe stato radioso, ma una volta fuori ho dovuto fare i conti con la realtà. Il mondo era pieno di principi di ogni colore (rossi, neri, verdi e chissà quanti altri), tutti con qualche potente santo in paradiso più di me. Le principesse sembravano essere tutte già prese ed io che sognavo un paese in cui splendesse sempre il sole e gli uccellini cinguettassero tutto l'anno ero riuscito a ottenere soltanto un impiego come principe CO.CO.CO. in un regno così piccolo che sembrava cercasse di soffocarmi.

Ciononostante non persi la speranza, ricordavo bene il mio sogno ed ero ancora ingenuo da credere che con costanza e buona volontà sarei riuscito a vederlo concretizzarsi. Così continuai a cercare, fino a trovare una principessa che sembrava in difficoltà. Ancora oggi mi chiedo come ho fatto ad essere così stupido, così cieco, saranno stati i suoi occhi dolci e profondi, chissà... sta di fatto che lei non aveva alcun bisogno di essere salvata ed io non me ne resi conto. Insistei, fui paziente, ci misi tutto me stesso, con l'unico risultato di rendere un mucchio di persone "infelici e scontente".

Il mio fallimento non passò inosservato; difatti al termine del mandato il mio contratto non fu rinnovato e mi ritrovai senza più un lavoro ma soprattutto senza quello che avevo da sempre voluto fare. Probabilmente avevo sopravvalutato le mie capacità, forse non era destino che diventassi un principe azzurro. Mi sentivo sconfortato, e solo... e più di tutto rimpiangevo la principessa che credevo mi avrebbe completato e reso felice. La sera, prima di addormentarmi, lasciavo che a cullarmi fossero i bei ricordi dei tempi andati, consapevole che durante la notte quelli brutti mi avrebbero svegliato di soprassalto.

Ma sapete come si dice, vero? Il passato è passato, e di sogni non si vive. Così ho venduto il mio cavallo per comprare un'incudine e ho deciso di diventare fabbro. E' un lavoro noioso, faticoso ma mi dà di che vivere e questo è più che sufficiente.

Questa è la mia storia, io sono V. e sono un ex-principe azzurro...



...ma nonostante tutto conservo ancora con immensa cura un vecchio baule, dentro c'è un vestito color turchese. A volte apro il baule e resto per un po' a fissarlo, con la speranza che un giorno tornerò a indossarlo...

ON AIR: Hammock - I can almost see you

mercoledì 11 febbraio 2009

Scrivere Libero II - quello che vedo da una finestra

La mia finestra preferita è quella della mia camera. E' la mia finestra anche se non ha nulla di eccezionale, tuttaltro. E' circondata da alti palazzoni che le nascondono il cielo se non fosse per una fessura, uno squarcio nella città che si apre sull'orizzonte lontano.
Dalla mia finestra, quando viene la sera, posso guardare in quel taglio sottile il sole che tramonta. E' uno spettacolo sempre nuovo, ogni giorno diverso.
La mia finestra mi piace soprattutto nelle sere primaverili, dopo una giornata limpida di sole, quando posso sedermi sul davanzale dopo averla aperta e lasciarmi sfiorare dalla brezza sottile della sera, quasi ipnotizzato dagli ultimi caldi colori di un cielo che lentamente si fa scuro. In quei momenti mi sento in pace, è come se le preoccupazioni perdessero consistenza, come se avessi trovato il mio posto nel mondo.
Questo è quel che vedo dalla mia finestra, questo il motivo per cui amo ogni finestra.

Per Scrivere Libero, II edizione

domenica 2 novembre 2008

Scrivere Libero II - cose che non ho e che vorrei

Non ho un campetto polveroso per andare a giocare quando sono nervoso, o pensieroso, o semplicemente ne ho voglia.
Non ho la giusta percezione di me, di quello che sono, di quello che vorrei essere, so solo quello che non sono.
Non ho più tanta voglia di combattere e credo che forse sarebbe il caso di arrendermi, deporre le armi finalmente.
Non ho voglia di uscire, di conoscere persone (ma forse queste non le vorrei neppure).
Non ho una lavatrice, il che mi obbliga a lavaggi manuali che alla mia schiena non vanno molto a genio.
Non ho una macchina in cui rifugiarmi quando ho voglia di andarmene via, lontano, senza stare a pensarci su, perchè a volte quello che conta davvero è muoversi, sentire il paesaggio scivolare via, afferrare solo macchie indistinte.
Non ho accanto la persona che vorrei, ed è il vuoto più grande, quello che pesa di più, quello che ogni giorno mi allontana da tutto ciò che di buono avrei potuto essere.
Non ho un ombrello, e fuori piove fitto... ma forse bagnarmi è ciò di cui ho bisogno, gocce fredde come il ghiaccio per scrollarmi di dosso questo maledetto torpore.
Non ho più voce per urlare la mia rabbia e il mio dolore.

Per Scrivere Libero - II Edizione

ON AIR: Andy McKee - Rylynn

mercoledì 9 luglio 2008

Noia

In questi giorni non ho molta voglia di scrivere, mi preoccupo un po'.
Vero anche che non ho troppe cose da raccontare dal momento che mi sono "leggermente" isolato dal mondo per rifiatare.
Potrei scrivere banalità ma sarebbe un ulteriore spreco di tempo, oppure potrei parlare di cose più serie e più sentite rischiando di aprire ancora una volta ferite per cui ho scoperto già da tempo che i punti di sutura non reggono davvero.
Conclusione? Non ce n'è. Nè ci sono morali o altro... scriverò quando qualcosa mi passerà per la testa, sperando che torni a passarci qualcosa presto!

(Per inciso, tutto questo nasce da una immagine che ho visto saltellando di pagina web in pagina web e che riporto "in sovrimpressione")

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venerdì 30 maggio 2008

Scrivere Libero II - vi presento un amico

Per il compito di oggi la "maestra" mi ha chiesto di descrivere un amico. Ho pensato a lungo a chi avrei potuto scegliere, ci sono persone a cui voglio un bene dell'anima ma parlare di loro sarebbe stato troppo difficile mentre con altre i rapporti sono forse meno intensi ma si tratta comunque di presenze che hanno avuto un ruolo importante nella mia vita. Così dopo tanti pensamenti e altrettanti ripensamenti ho deciso di parlarvi del mio amico più vecchio e più caro.
Di lui posso dirvi che è tondo e resistente, di solito porta un vestito di cuoio con un disegno geometrico composto da tanti pentagoni bianchi e neri anche se non disdegna di cambiare a volte, colorandosi tutto di rosso o scegliendo dei bei disegni simili a tatuaggi. Se qualcuno di voi se lo stesse chiedendo rispondo che si, il mio amico di più vecchia data è un pallone.
Sin da quando ho memoria dei miei gesti mi vedo in sua compagnia, stentavo ancora a camminare quando ho iniziato a giocarci e da allora non ci siamo mai lasciati. Mi ha sempre rimbalzato accanto docile ed anche se è capitato che mi colpisse duramente, in viso, nella pancia o in altre zone particolarmente delicate, si è trattato sempre di piccole scaramucce.
Se provo a pensarci un attimo affiorano alla mente i ricordi di mille volte in cui quando le cose stentavano ad andare per il verso giusto mi sono sfogato con lui e sento ancora forte il bene che mi faceva. Abbiamo trascorso insieme lunghi pigri pomeriggi estivi, abbiamo sguazzato nell'acqua e nel fango, qualche volta ci siamo addirittura rotolati nella neve.
Ho perso il conto delle volte in cui la mamma mi ha sgridato perché sgattaiolavo fuori di casa prima di aver finito i compiti per giocare con lui, credo che lei non abbia mai compreso fino in fondo il rapporto che abbiamo.
Al mio pallone ho raccontato tutto quello che mi succedeva, mi è sempre piaciuto pensare che quella camera d'aria contenesse una piccola anima di aria compressa che rimbalzasse all'unisono con la mia. Credo che lui sia stato l'unico con cui mi sono sentito sempre me stesso, con la testa sgombra da ogni pensiero o preoccupazione... e questa sua capacità di farmi dimenticare tutto il resto è la qualità che apprezzo di più.
Ora che sono cresciuto e non ho più tanto tempo libero a disposizione ci siamo un po' allontanati, ci vediamo meno spesso, però a volte mi prende una voglia tremenda di giocare con lui così lo prendo sotto braccio e lo porto con me, solo io e lui, ed in quei momenti è come se avessi di nuovo dodici anni e quella sfera fosse tutto il mio mondo.
Vi racconterei tante altre cose ma la campanella sta per suonare e a casa mi aspettano per il pranzo, l'unica cosa che mi preme dirvi è che anche se a molti di voi sembrerà assurdo, stupido o magari folle... io al mio pallone voglio un bene dell'anima!

Per Scrivere Libero - II edizione...

venerdì 7 marzo 2008

La casa dei miei sogni

Passeggiava senza una meta. Era uscito di casa quando il calore aveva iniziato a essere insopportabile. Una maglietta, un paio di pantaloni, vestiti scelti a caso pescando nell'armadio quasi alla cieca, in obbedienza all'impulso primordiale che ora lo spingeva in cerca di refrigerio. Speranza vana! Su tutta la città era calata una cappa che strangolava qualsiasi essere vivente costringendolo alla disperata ricerca di una fontana o di una qualsiasi altra fonte d'acqua fresca. Gli unici che non sembravano risentire del clima torrido erano i moscerini. "Ce ne sono a milioni" pensava, "presto diventeranno loro i padroni della terra, altro che i cinesi!". Avrebbe voluto tornare indietro ma pensò che dal momento che ormai era fuori tanto vale sgranchirsi un po' le gambe.

Nonostante le ore più calde fossero ormai passate il sole picchiava ancora forte, secondo i metereologi l'ondata di afa sarebbe proseguita ad oltranza, una vera manna per i gelatai e i venditori di bibite fresche che si erano riversati per le strade per lucrare sul sudore altrui. "Se fossi presidente la mia priorità sarebbe garantire gelati gratis per tutti durante l'estate" borbottava tra sé e sé. Il cielo era di un blu limpido e uniforme, macchiato appena dalle prime sfumature di tramonto all'orizzonte. Di quando in quando una scia bianca ne rompeva la monotonia ricordandogli che anche se quggiù tutto sembrava immobile il mondo continuava a correre senza sosta.

Era passata poco più di mezz'ora ed era già madido di sudore, iniziava a pensare che quella camminata fuori programma fosse stata una delle idee meno brillanti degli ultimi tempi, e Dio solo sa se non ne aveva avute di davvero balzane! D'improvviso, svoltato un angolo si trovò davanti una singolare villetta; non era niente di eccezionale, costruita su tre piani e affiancata a casermoni che la sovrastavano a destra e a sinistra sembrava quasi scomparire. Eppure se ne sentiva attratto. "Saranno i colori" si disse, "sembra così vivace, accogliente, specie paragonata alla monotonia dei dintorni. E poi ha delle finestre belle grandi, l'interno deve essere meravigliosamente luminoso".

Si spinse fin sulla soglia, pochi gradini conducevano alla porta d'ingresso. Quasi senza accorgersene si era avvicinato al campanello, improvvisamente curioso di vedere se la casa fosse abitata o meno. "Che strano, non c'è nome", mentre diceva così un refolo d'aria gli sfiorò il viso. Rimase sorpreso dal constatare che la porta era aperta ed incerto su come comportarsi ma alla fine quel miraggio di frescura ebbe la meglio e si decise ad entrare: "solo pochi minuti" continuava a ripetersi, "del resto se non ricordano neppure di chiudere io che colpa ne ho? E poi non mi pare che ci siano mobili all'interno, probabilmente non ci abita nessuno".

Convintosi, a torto o a ragione non sta a noi giudicarlo, che non c'era niente di male nell'introdursi in una casa aperta, entrò e la prima cosa che notò fu la sensazione di sollievo per essersi sottratto alla strada bollente. Dopo essersi beato per un po' del piccolo nirvana conquistato iniziò a guardarsi intorno. Non si era sbagliato, le tante finestre lasciavano che la luce conquistasse ogni angolo. Anche se non era ammobiliata, si intuiva che chi aveva realizzato quell'appartamento doveva avere un certo gusto: pavimento in parquet, rifiniture lungo tutti i muri, archi tra i pilastri. Una cosa lo colpì più di tutte, una piccola stanza vuota, con a terra ancora i segni nella polvere dei mobili che l'avevano arredata e soprattutto con una meravigliosa vetrata che affacciava sulla strada da cui era venuto. Si ritrovò a pensare che in un certo senso quelli erano gli occhi della casa e se è vero che dagli occhi puoi capire tutto quel che conta allora era finito in un'abitazione stupenda.

Quel posto iniziava a piacergli sempre più; decise di salire al piano di sopra. Affrontata la scalinata si ritrovò in quella che evidentemente doveva essere la zona notte: alle pareti era rimasto qualche poster ingiallito dal tempo, gli U2, Jim Morrison, un tizio dai capelli biondi e l'aria  vagamente familiare... un calciatore forse, certo è che guardando il suo sorriso ebete pensò che non dovesse essere certo la persona più sveglia del mondo e si chiese, per l'ennesima volta, come certe ragazze potessero essere affascinate da persone così scialbe. Sentì a pelle, una percezione aldilà del cosciente, che quelle mura erano, come dire, "accoglienti". Si sentiva come se fosse tornato in un posto che conosceva bene, le stanze colorate, i segni di un passato abbastanza prossimo, tutto contribuiva a dargli l'idea di familiarità.

Ormai iniziava a farsi tardi, se ne rese conto vedendo sui muri la sua ombra allungarsi sempre più rapidamente, ma non voleva andare via senza dare un'occhiata anche all'ultimo piano. Quello che trovò una volta salito lo lasciò senza parole: si trattava di una piccola mansarda ricavata nel sottotetto e che probabilmente in precedenza era stata uno studio; c'erano una scrivania, alcuni fogli bianchi sparpagliati qua e la, una sedia e appena sopra tutto questo una sorta di oblò dal quale a causa di qualche strano miracolo di coincidenze (ma erano veramente tali o non era forse stato tutto studiato?) attraverso un varco tra i palazzi si intravedeva il cielo. Si sedette e rimase a guardare per qualche minuto quell'angolo blu circondato dal cemento dei palazzi che gli facevano da cornice. Pensava al luogo in cui si trovava, bello, caldo, accogliente, il posto che vorresti trovare per mettere su una famiglia. Si riscosse quando si accorse che ormai rosso del tramonto iniziava a tingersi di viola e le prime stelle baluginavano timide.

Si sentiva soddisfatto, se non addirittura felice. Si affrettò a tornare fuori con un sorriso idiota stampato in faccia quando, nello scendere le scale dell'ingresso si senti apostrofareda una voce femminile: "Lei, hei dico a lei! Che cosa ci faceva dentro questa casa?". La donna sembrava spazientita, ma non spaventata, nè tantomeno preoccupata. Tailleur elegante, acconciatura e trucco semplici ma curati, doveva essere un agente immobiliare, ipotesi confermata, o meglio originata, dall'averle visto tra le mani un cartello con su scritto "VENDESI".
"Mi scusi" le rispose sentendosi avvampare le guance, e stavolta non per il caldo, "è solo che questa casa è così... affascinante... ho visto la porta aperta e non sono riuscito a resistere alla tentazione di entrare". Il volto della donna si rasserenò e si aprì in un sorriso mentre lui considerava che a ben guardarla non era niente male!
"La capisco" disse lei, "in effetti anche a me questa casa piace molto ma il precedente proprietario ha deciso di venderla. A quanto mi ha detto non ci si trovava più bene e dunque eccomi qui, alla ricerca di un compratore".
Lui rimase in silenzio qualche secondo, sentiva che stava per fare qualcosa senza stare a rifletterci troppo, d'istinto, come gli succedeva suo malgrado fin troppo spesso, anche se mai per scelte così impegnative. Alla fine parlò: "Signorina, le dirò una cosa che potrebbe stupirla ma le assicuro che sono serissimo, non ha più bisogno di cercare, sono io il suo acquirente!". La ragazza, in verità non troppo sorpresa, gli sorrise e prese appuntamento per l'indomani per iniziare a sbrigare le pratiche e lui, beh, che dire... lui si era innamorato pazzamente di quelle mura, era stato un vero e proprio colpo di fulmine, aveva trovato la casa dei suoi sogni e vi si trasferì già il giorno seguente.

domenica 2 marzo 2008

50 Scrivere Libero 100 - MORTE

Sono morto così tante volte da perderne  il conto. Non fisicamente, sia ben chiaro, diciamo che ho preso tante bastonate da non essere più sicuro che valga la pena alzarsi e continuare a combattere. Mi hanno detto "tu per me sei speciale", "lei è la persona che fa al caso nostro", "presto le cose andranno meglio", frasi di circostanza a cui sono stato così sciocco da credere… e cosa mi è rimasto? Un bel niente! Tutto mi è sfuggito tra le dita ed oggi mi ritrovo solo a chiedermi se forse non sarebbe meglio farla finita una volta per tutte...

Per l'ultima edizione (fino ad aprile almeno) di Scrivere Libero.

Ahimè, ho scoperto questa splendida iniziativa con un po' di ritardo ma sono comunque contento di avere avuto l'opportunità di prendervi parte. Ci siamo divertiti con le parole, creato mondi alternativi a volte più reali del reale sorridendo, riflettendo, ricordando. Ciò che più conta però è che la scrittura è viva, o meglio ancora... la scrittura è vita! Aspettando con impazienza i prossimi "giri" invito tutti a dare un'occhiata (non siate superficiali però) al blog.

lunedì 25 febbraio 2008

49 Scrivere Libero - VITA

Resto in casa.
Seduto.
Sulla sedia con le rotelle, una di quelle da ufficio.
Guardo il monitor, la pagina bianca di Word.
Il cursore lampeggia, si fa beffe di me.
Ho messo la mia vita in pausa.
Volevo scrivere. Di lei.
Ma non ho più parole.
Vivi e lascia vivere.
Lasciatemi.
Vivere.

Per Scrivere Libero 100

martedì 12 febbraio 2008

47 Scrivere Libero - VIAGGIO

Il più lungo viaggio che ho intrapreso è stato quello alla scoperta di me.
Ho camminato lungo il viale alberato della mia tranquillità.
Mi sono fermato ad osservare il tramonto sulle rive di mari d'amore e sono fuggito quando tempeste di passione ne hanno sconvolto la quiete.
Ho sorvolato con poco interesse i miei deserti di difetti.
Mi sono perso in tortuosi splendidi labirinti di pensieri.
Ho conosciuto gente invisibile, sentito profumi inesistenti, nelle più belle città della mia immaginazione.
A pensare che sono appena partito mi sento felice. Si.

Per Scrivere Libero 100...

venerdì 25 gennaio 2008

45 scrivere libero - GELOSIA

Ogni volta che penso di averti cancellata,
allontanata da me,
ti vedo
ed è ancora carne e sangue ribollenti
e cuore accelerato, impazzito.
Non sei mai stata sola,
mai siamo stati io e te e nessun'altro.
Noi, sempre, ancora e ancora
ed io geloso che il tuo sguardo di bimba
si addolcisca per lui.

Per Scrivere Libero 100...

venerdì 18 gennaio 2008

Scrivere Libero 100 - 44: Palcoscenico

Brusio. Le luci calano, si spengono. Silenzio in sala. Si apre il sipario.

Ogni giorno di nuovo su questo palcoscenico, vita in tre atti sotto lo sguardo critico di un pubblico annoiato.
Messinscena lunga un’esistenza. Amore, odio, gioia, sofferenza, solo l’ennesimo colpo di scena compiacente.

    "Credi che riusciremo mai a stare insieme?"
    "Ne sono sicura, non adesso però, non qui. Questo non è il nostro tempo e forse non lo sarà mai"
    "Forse… ma finché avrò fiato avrò anche speranza…"


Solo questo ci spinge a calcare ancora queste assi consumate, traballanti, la tiepida speranza di un ultimo applauso.


P.S. Questo post è stato scritto per un gioco, un simpatico passatempo tra amici che non si conoscono e non si sono mai visti ma che hanno in comune l'amore per le parole. Se siete anche solo un po' incuriositi fate un giro su SCRIVERE LIBERO 100, non costa nulla e vi garantisco che troverete tante piccole perle, pensieri ed emozioni, talento e sopra a tutto il resto passione.

P.P.S. Finora non avevo pensato a pubblicare anche qui questi piccoli "esercizi di stile" ma d'ora in avanti credo che lo farò, una iniziativa del genere ha bisogno che le venga data la più ampia visibilità e se anche una sola persona scoprirà SCRIVERE LIBERO 100 passando da qui io potrò ritenermi soddisfatto!