venerdì 8 febbraio 2008

giovedì 7 febbraio 2008

Una volta tanto

Avete mai avuto la sensazione che la musica, mentre ascoltate, smetta di essere suono per trasformarsi in immagine?

A me è successo, di nuovo, oggi.

Ero quasi sicuro che l'album dei Negramaro non mi avrebbe colpito, che sarebbe scivolato senza alti nè bassi, poi però ho sentito questa canzone, un brivido lungo la schiena, e ho avuto un attimo di smarrimento.

Imprinting di sensazioni passate mentre rivedo me steso sul letto a fissare il soffitto nel lunghissimo pomeriggio... estate calda, aria a tratti soffocante. Ricordo il telefono sul comodino accanto a me, così vicino da sembrare irragiungibile e una lettera iniziata milioni di volte perché qualsiasi parola mi sembrava banale, inutile. Ricordo, stranamente, ogni pensiero, come se lo avessi partorito ora. Ricordo sopra ogni cosa di averla immaginata, incantevolmente assorta, immersa in un mondo del quale non avrei mai fatto parte, e di aver sperato che in quell'attimo anche lei pensasse a me...

[...]

Una volta tanto dimmi sempre,
sarà per sempre.
Quanto ti costa dirmi sempre se poi sempre è una bugia.

Prendimi in giro e dimmi sempre ah
sarà per sempre.
Ma che ti costa dirmi sempre se poi sempre è una bugia.

Se chiudo gli occhi forse sei
tutti gli errori quelli miei.
Almeno tu fossi poesia
saprei cantarti e così sia.

Chiudessi gli occhi affogherei;
è un fiume in piena di vorrei.

[...]

Se chiudo gli occhi non ci sei
in fondo a tutti i miei vorrei.
Almeno tu lasciassi scia, saprei come lavarti via.

lunedì 4 febbraio 2008

Solo buio intorno

Passi lenti e silenziosi. Un uomo cammina solo, il bavero della giacca alzato per proteggersi dal freddo dell'inverno, forse i brividi che sente però nascono da un angolo remoto della sua anima, da profondità insondabili, inconfessabili. Un'ombra scura più della notte che lo avvolge e protegge.

Cammina, ha il mare alla sua sinistra, a tratti si ferma a guardarlo e si chiede cosa succede oltre l'orizzonte. Ricorda quando da bambino credeva che il mondo finisse in quelle acque, che lì dove riusciva ad arrivare la vista fosse il principio e la fine di ogni cosa e sognava, piccolo Ulisse ancora pieno di sogni e ambizione, di violare i misteri delle colonne d'Ercole della sua immaginazione. Ora sa che erano solo fantasie di un fanciullo, eppure continua a desiderare, certe notti, di poter salire su una barca, farsi inghiottire dalla notte, remare... remare fino a perdere le forze per poi lasciarsi trasportare dalle correnti verso terre lontane dove poter dimenticare il suo dolore.

In lontananza vede le luci della città riflettersi nell'acqua scura e sente le onde scagliarsi impetuose contro i frangiflutti. C'è profumo di mare. La luna, vezzosa, si nasconde dietro le nubi. "Che si stia avvicinando un temporale?" pensa, e per un attimo la fitta coltre di pensieri che lo turba si squarcia, "forse dovrei rientrare... avrei proprio dovuto portare un ombrello".

Se poteste vederlo forse capireste il turbinio di sensazioni che gli imperversa intorno, a tratti sembra che i demoni del suo passato assumano consistenza e gli danzino intorno sbeffeggiandolo mentre  lui, ignaro, cerca di scacciare passioni mai dimenticate.

Cammina solo, abbassa lo sguardo nelle rare occasioni in cui qualcuno gli passa accanto, forse vergognandosi della sua debolezza. Ha uno sguardo così bello, occhi di un verde limpido, profondi e dolci, però non riesce a nascondere il velo di tristezza che li copre.

Cadono le prime gocce di pioggia, lo sorprendono, resta immobile sotto la debole luce di un lampione. La sua ombra sembra un buco nero pronto ad inghiottirlo, quasi desidera che un oblio eterno lo costringa a strapparsi di dosso una parte di sè, la più importante. Alza la testa per rivolgere il viso al cielo scuro, per sentirsi l'acqua scorrere addosso. E' ancora lì ma ora accanto a lui c'è lei che ride felice per quel temporale improvviso, sembra passata un'eternità. Il ricordo di lei è vivido, allunga una mano nell'assurda speranza di poterla toccare ancora, accarezzarla come quel giorno, baciarla.

Stringe il pugno con forza e l'immagine scompare. Che sia passato un secondo, un minuto, forse un'ora? Non lo sa ma ha smesso di piovere. Sente le guance bagnate e stavolta non è il cielo su di lui. Sta piangendo. Domani avrà la forza di guardare avanti, oggi lascia che i rimorsi e la rabbia che lo dilaniano vengano fuori, oggi piove...

ON AIR : Skunk Anansie: You'll Follow Me Down

[...]
'Cos I don't want you, to forgive me,
you'll follow me down...
[...]

venerdì 1 febbraio 2008

Maybe... one day...

Perché non riesco a sputare fuori il veleno?
La rabbia, l'angoscia, l'ansia.
Può la volontà imbrigliare un cuore recalcitrante?
Amore e poi odio e ancora amore.
Perché ogni volta che ho di fronte lei sono così irrazionale?
...perché...

giovedì 31 gennaio 2008

Musica è

Era una bella serata. L'aria era fredda ma serena e avevano deciso di uscire a fare quattro passi. Impegni, responsabilità, da tempo non uscivano. Stavano crescendo e la voglia di fare baldoria diventava sempre meno, sostituita dalle preoccupazioni di una stressante quotidianità.

L'occasione di una esibizione di un quartetto Jazz si era rivelata un'occasione troppo ghiotta per mancarla ancora una volta, così si erano preparati di tutto punto ed erano usciti. Aspettavano l'arrivo di fidanzate e amicizie e (mis)conoscenze varie chiacchierando di quel che era stato e di quello che sarà.

Uno dei ragazzi però, il protagonista di questo racconto per l'esattezza, non era del tutto tranquillo: in fondo il paese era piccolo ed era quindi grande la probabilità che incontrasse proprio lei.
        Sperava che succedesse?
        Certo che si!
Ciononostante una piccola parte di lui era turbata dall'idea di vederla. Era passato molto tempo dall'ultima volta che erano usciti insieme e temeva che troppe istantanee del passato tornassero a scorrergli sotto gli occhi.

Il locale iniziava a riempirsi, i musicisti terminavano di preparare gli strumenti mentre cameriere indaffarate ronzavano tra i tavoli raccogliendo le ordinazioni dei ritardatari. Le luci soffuse, il calore, i suoni, gli odori, tutto contribuiva a creare un'atmosfera particolare, sospesa, come se fuori da quella sala il mondo si fosse fermato aspettando l'ultima nota, segnale convenuto, per riprendere a muoversi.

La musica era iniziata e il nostro giovane ne era stato rapito quasi immediatamente, ora non solo il mondo fuori bensì tutto, compreso le persone che gli stavano attorno, era diventato uno sfondo per le melodie che lo avvolgevano. Aveva dimenticato il pensiero di lei, il tempo passava e credeva che avesse infine deciso di non uscire, o di andare da qualche altra parte. Era ormai immerso nelle suggestioni che ritmi e melodie creavano nella sua testa.

Un ritmo dolce, malinconico, quello di un uomo innamorato che sussurra parole colme d'amore alla donna che gli dorme affianco, consapevole che lei non le ascolterà, che può confessare tutto ciò che non riesce a dire quando lei lo guarda con quegli occhi grandi e profondi. Il suono che una carezza farebbe se fosse musica, questo ascoltava quando finalmente si accorse che lei era appena entrata. Subito un tuffo al cuore, ogni volta si chiedeva come fosse possibile che a dispetto delle innumerevoli volte in cui si erano incontrati ancora non riuscisse a trattenere la sorpresa, l'ansia, la gioia di vederla.

Era tanto bella, come sempre, e faceva fatica a toglierle gli occhi di dosso. Pensava tra sè, "sono felice che sia venuta... mi manca così tanto...". Ora le note erano come macchie di colore che si sovrapponevano, si fondevano per creare ritratti di scene passate, un volto sorridente, spensierato, deciso a vivere il momento senza pensare a quel che sarebbe stato.

Quella sera però il suo viso non era sereno e lui credeva di conoscerla abbastanza da capire che c'era qualcosa che non andava.  Rigida, impacciata, stranamente silenziosa quando lui era abituato a vederla vivace, continuamente in movimento... non era a proprio agio e il ragazzo sapeva di esserne il responsabile.

Le voleva bene, per lui era diventata una delle persone più importanti... e doveva evitarla, costringersi a non pensarci, a non pensarla, per evitarle di star male ancora. Averla davanti quella sera, poterla guardare ancora una volta, era stato il più bel regalo che potesse fargli. Lei non lo sapeva ma era tanto tempo che il giovanotto non si sentiva così bene ed il merito era anche e soprattutto suo.

La serata ormai era finita, stavano rientrando a casa e il ragazzo aveva perso un po' di baldanza, "ancora un addio" pensava. La guardava allontanarsi, avrebbe voluto chiederle perché era stata così distante, scusarsi, pensava fosse colpa sua; avrebbe voluto rassicurarla, dirle di non ascoltare le voci di tanti presunti amici, di dar retta solo al proprio cuore, a quello di lui... ma non disse niente. Era una bella serata e allontanando i fantasmi del passato tornò a camminare verso casa.

domenica 27 gennaio 2008

Memoria

"[...] Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo. Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai."

Primo Levi

venerdì 25 gennaio 2008

Spire di fumo

E' lì che continua a rimuginare su ciò che ha visto mentre si accende l'ennesima sigaretta. "Non fumare!", la voce di sua madre gli risuona nelle orecchie ad ogni primo tiro, "vuoi fare la fine di tuo nonno?". Ogni volta è sul punto di spegnere la cicca, dai sempre retta a mamma e papà, la lezione si è inculcata in lui piuttosto in profondità, lunghi discorsi su rispetto e obbedienza.

Pensava che avrebbe desiderato avere una catena ed un grosso lucchetto, di quelli che si usano per sbarrare i cancelli, ma sapeva che non era quello che lo avrebbe fatto stare meglio. Una catena per la donna che ami? Che senso avrebbe avuto? "E' lei che deve scegliere, capire", queste parole continuavano a ronzargli in testa, "lei sa cosa provo, sa chi sono... nel bene e nel male".

Provava una pesante frustrazione a non poter fare di più, eppure gli bastava girarsi e vederla, seduta al computer o china sui libri, lo sguardo assorto e l'espressione imbronciata, per dimenticare tutto il resto. La guardava cercando di non farsi notare per paura che lei leggesse nei suoi occhi storie che non voleva farle conoscere.

Dio quanto era bella, credeva di essere abituato ai suoi lineamenti, alle sue curve, agli atteggiamenti a metà tra quelli consapevoli di una donna e quelli istintivi, spontanei di una bambina. Invece ogni volta che la rivedeva era come la prima volta... un tuffo al cuore e subito dopo, quasi a rimediare agli attimi di scompenso precedenti, una accelerazione del battito; soprattutto tanta confusione però, sovraffollamento di parole in disordinati capannelli davanti alla barriera di labbra sigillate. Parlare con lei era una delle cose che preferiva nonostante la sua presenza per ignote ragioni lo faceva sempre sentire agitato.

Seguiva il movimento febbrile delle sue mani per poi risalire con lo sguardo alle spalle, al collo, alle labbra sottili, al piccolo neo che lo faceva impazzire -perfetta imperfezione- fino ad arrivare ai suoi occhi. Li adorava, erano la parte di lei che lo aveva colpito di più, tanto che a volte ancora adesso rimaneva a fissarli incantato. Attraverso loro aveva conosciuto lei, la sua forza, la determinazione, la dolcezza, il desiderio di non crescere, di continuare a vivere la favola della sua giovinezza, così come le sue fragilità, l'insicurezza, l'ingenuità. Attraverso loro col tempo aveva imparato a intuire i suoi stati d'animo: poteva dirgli che tutto andava bene, prendere in giro persone poco attente, ma a lui i suoi occhi non avevano mai mentito.

Ripensava a quando le aveva detto "ti amo" credendoci davvero, a quello che gli era costato esporsi così, al suo sguardo che gli aveva rivelato più di tutti i discorsi successivi, dolce, lusingato, imbarazzato ma soprattutto preoccupato per le implicazioni di quelle parole che lui, impulsivo come al solito, non aveva soppesato.

Intuisce una voce che lo chiama, era così sovrappensiero da aver dimenticato di non essere solo, la sigaretta è ormai consumata. In pochi minuti ha rivissuto così tante cose. Il suo sguardo ora è malinconico ma sereno. Non sa se sta guardando il suo grande amore, non sa se riuscirà ad innamorarsi di qualcuno come è successo con lei, poi i loro occhi si incrociano, lui li vede sorridenti... e non ha bisogno d'altro.