mercoledì 17 giugno 2009

Di cio' che era e che non sarà più

Sbagli, solo tanti sbagli.
Non sono perfetto, mi dispiace. Avrei tanto voluto esserlo, per te, per lei, per altri, per tutti. Non per me che non ne sento il bisogno.

Solo punti interrogativi in una testa che non ce la fa... su un corpo che non ce la fa.

Stanco da morire, di tutti, di me. Di quello che non sono più. Ditemi come si fa a tornare indietro, a dimenticare, a perdonare e farsi perdonare. Dove è nascosto l'entusiasmo, la voglia, la VOGLIA di un tempo che è stato e che ora a malapena ricordo.

Spento e sconfitto dal mio desiderare intenso e dal frapporgli ragioni che ora non so più considerare valide.

Quante cose ho perso? E chi posso biasimare se non me stesso?
Mai avrei pensato di poter camminare a spalle curve, mai ho considerato neppure lontanamente l'idea che un giorno mi sarei sentito sconfitto... oggi pero' è così e rialzarsi stavolta è duro, come se la pressione di passato, presente e futuro frullati assieme mi tenesse schiacciato al terreno.

Cerco di liberarmi di me, delle mie manchevolezze in nome di pregi che mi sono illuso di avere. Neppure io farei affidamento su di me.

Diventa tutto così inutile quando cio' che ritieni importante si allontana fino a perdersi all'orizzonte, là dove lo sguardo non puo' arrivare.

mercoledì 3 giugno 2009

Dell'acqua che vien giù dal cielo

Tic...

Una goccia, viene giù dal cielo. L'aria ha un profumo diverso quando sta per piovere, odora di... "bagnato", non saprei come altro dire.


Tic...

Guardo in su, e già, pare proprio che stia per mettersi a piovere. A dissipare dubbi e speranze residue un'altra goccia che mi è appena precipitata in un occhio. Mi sono sempre chiesto come sia statisticamente possibile che se alzi la testa quando sta piovendo è certo che resterai accecato.

Tic, tac, plinf, pluf...

Ora piove più forte, dovrei sbrigarmi a tornare dentro. Invece indugio, voglio restare per un po' qui, sotto l'acqua che mi scorre dalla testa lungo le spalle, fare da tramite tra cielo e terra. C'è una cosa che non faccio da tempo, non so nemmeno perché, ad un certo punto della ma vita, abbia smesso di farla. Probabilmente è la paura di rendermi ridicolo ("sei cresciutello per metterti a fare certe cose, non ti pare?" - "No, oggi no"), un'altra sciocchezza che continua a condizionare la mia vita.

Tic, tic, tiritiritiritiritiritiritiritic...

Col viso ancora rivolto al cielo e gli occhi chiusi apro la bocca, ho voglia di assaggiare la pioggia. So cosa state pensando: "in fondo è acqua, che sapore vuoi che abbia? Al massimo ti lascerà un retrogusto di gas nocivi!". Invece io penso che la pioggia abbia il sapore delle nuvole; è vero, personalmente non ho mai assaggiato una nuvola, ma mi piacerebbe farlo... quando il cielo è sereno le nuvole sembrano fatte di zucchero filato, devono necessariamente essere deliziose. E vorrei mangiarne una, solo per scoprire che hanno il sapore della pioggia, come è giusto che sia.
La pioggia ha il sapore dell'infanzia, degli ombrelli tenuti da mamma e papà, delle scarpe zuppe e dei pantaloni fradici, perché quando hai 6 anni e il cielo sembra così lontano la pioggia si ferma a terra, diventa pozzanghera in cui sguazzare, tentazione irresistibile di allungare almeno un piedino.


Tic...

Sarà meglio rientrare, non sono più un bambino. Oggi ogni goccia è un ricordo, di quelli che fanno male quando piove forte, di quelli che immalinconiscono quando è pioggerellina leggera e fitta.
Asciughiamo per bene la testa e torniamo alla solita vita, tra poco smetterà di piovere.

ON AIR: Billie Myers - Kiss the rain (acoustic)

martedì 26 maggio 2009

Del farsi trovare senza cercare

Sono a disposizione, raggiungibile attraverso svariati (fin troppi!) mezzi di comunicazione.

Ma non ho più voglia di cercare, nè di cedere, nè di preoccuparmi (quasi sempre inutilmente)


Chiamatemi e "sarete risposti"


ON AIR: The Clash - Should I stay or should I go

lunedì 18 maggio 2009

Del desiderio di avere sangue blu e altre fantasie

Salve a tutti, mi presento, sono V. [ogni riferimento a nomi o proprietari di blog realmente esistenti è puramente casuale] e sono un Principe Azzurro.

O meglio, lo ero. Si, perchè da ragazzo avevo un sogno, volevo una favola che parlasse di me, una favola che i papà avrebbero raccontato alle loro figlie prima di lasciarle addormentate a sognare un mondo di cui avrebbero potuto essere regine. Soprattutto, volevo una principessa da salvare e con cui poter vivere "per sempre felici e contenti". Per questo anni fa mi iscrissi all'Università delle Nobili Gesta, facoltà di principismo (nome stupido, pensavo, ma quel che importava era il risultato). A dispetto delle difficoltà mi laureai col massimo dei voti, corsi di galanteria, portamento, dizione, bacio romantico, tutti superati brillantemente.

All'epoca pensavo che il futuro sarebbe stato radioso, ma una volta fuori ho dovuto fare i conti con la realtà. Il mondo era pieno di principi di ogni colore (rossi, neri, verdi e chissà quanti altri), tutti con qualche potente santo in paradiso più di me. Le principesse sembravano essere tutte già prese ed io che sognavo un paese in cui splendesse sempre il sole e gli uccellini cinguettassero tutto l'anno ero riuscito a ottenere soltanto un impiego come principe CO.CO.CO. in un regno così piccolo che sembrava cercasse di soffocarmi.

Ciononostante non persi la speranza, ricordavo bene il mio sogno ed ero ancora ingenuo da credere che con costanza e buona volontà sarei riuscito a vederlo concretizzarsi. Così continuai a cercare, fino a trovare una principessa che sembrava in difficoltà. Ancora oggi mi chiedo come ho fatto ad essere così stupido, così cieco, saranno stati i suoi occhi dolci e profondi, chissà... sta di fatto che lei non aveva alcun bisogno di essere salvata ed io non me ne resi conto. Insistei, fui paziente, ci misi tutto me stesso, con l'unico risultato di rendere un mucchio di persone "infelici e scontente".

Il mio fallimento non passò inosservato; difatti al termine del mandato il mio contratto non fu rinnovato e mi ritrovai senza più un lavoro ma soprattutto senza quello che avevo da sempre voluto fare. Probabilmente avevo sopravvalutato le mie capacità, forse non era destino che diventassi un principe azzurro. Mi sentivo sconfortato, e solo... e più di tutto rimpiangevo la principessa che credevo mi avrebbe completato e reso felice. La sera, prima di addormentarmi, lasciavo che a cullarmi fossero i bei ricordi dei tempi andati, consapevole che durante la notte quelli brutti mi avrebbero svegliato di soprassalto.

Ma sapete come si dice, vero? Il passato è passato, e di sogni non si vive. Così ho venduto il mio cavallo per comprare un'incudine e ho deciso di diventare fabbro. E' un lavoro noioso, faticoso ma mi dà di che vivere e questo è più che sufficiente.

Questa è la mia storia, io sono V. e sono un ex-principe azzurro...



...ma nonostante tutto conservo ancora con immensa cura un vecchio baule, dentro c'è un vestito color turchese. A volte apro il baule e resto per un po' a fissarlo, con la speranza che un giorno tornerò a indossarlo...

ON AIR: Hammock - I can almost see you

mercoledì 6 maggio 2009

Delle assenze (s)forzate

Mi mancavi, sai?

Mi mancavano le tue mani che non mi hanno mai accarezzato. Mi mancava immaginarle muoversi sui tasti a comporre parole come riflessi di pensieri e desideri, di ansie e paure e gioie, di pentimenti e turbamenti.

Mi mancavano i tuoi occhi in cui non ha mai guardato. Mi mancava sentirmi scrutato, analizzato, a volte compreso ed altre un po' meno, mi mancava il tuo sguardo curioso che conosco d'istinto.

Mi mancava il tuo sorriso. Il suono di una risata che non ho udito e che pure riecheggia tra le nude pareti del mio cuore in affitto.

Mi mancavano la tua malizia e la tua innocenza, il tuo essere così ed anche diversa.

Perchè aldilà dello strano modo in cui ci siamo trovati "ormai ci sei, e quando non ci sei si sente".

ON AIR: Afterhours - Baby Fiducia

lunedì 4 maggio 2009

Del profondo io e di altre disfunzioni percettive

Una sedia.

Sola.

Al centro di una stanza.

Vuota.

E una lampada appesa giusto aldisopra.

Spenta.

Silenzio che si riposa.

Improvvisa, inattesa, una mano gira il pomello, spinge, apre e indaga il muro, sfiora le pareti candide in cerca dell'interruttore. Lo trova, e lo fa scattare.

Luce.

E una stanza vuota, e una sedia. Un corpo segue la mano, e una testa segue il corpo. La testa, e il corpo, e la mano, pensano "che strano, una stanza vuota... ed una sedia". Al centro esatto, che sembra messa lì a bella posta, che quasi non ci si crede, che ti fa venir voglia di partire dai quattro angoli e muovere un passo dopol'altro, tacco e punta, e contarli per vedere se davvero quella sedia è al centro, se è IL centro.

Un po' di timore, ma quel corpo è stanco e la testa lo spinge ad avanzare, per riposare, un momento solo.

"Siedi"


Solo. Su una sedia. Strana banale coppia.

Il corpo è immobile. Le mani immobili. La testa immobile. Se qualcuno entrasse ora potrebbe pensare che sia una statua di cera messa lì a bella posta per spaventare i visitatori. Ma la luce proietta il suo cono e a guardare bene si coglie il battito delle ciglia, inconsapevole contrazione. Se poi riesci a far silenzio, ma silenzio davvero, star muto, immobile, puoi sentire lieve il respiro e scorgere impercettibile l'alzarsi e abbassarsi del torace.

Solo. Su una sedia. Ma vivo. E al tempo stesso morto.

In una stanza. Vuota. Eppure familiare.

Guarda dritto davanti e a sè, guarda fuori da una finestra.

"Ma prima c'era già?"
"E se anche non c'era cosa importa?"


Fuori scorrono scene che conosce, ricordi di ciò che era, mentre il cielo ha il colore delle sensazioni di ciò che sarà. Mille sfumature di rosso, e viola, e sprazzi di verde e blu. Oro di sole caldo, lontano, e ancor più lontano un punto, nero di un nero che non è colore, nero di paura e sofferenza.

Le mani tornano a muoversi, scorrono lungo le gambe, si posano sulle ginocchia, fanno da puntello ed ecco, il corpo è di nuovo in piedi. La testa vuole uscire, le pareti iniziano a stringersi, l'aria pare soffocare più che recare sollievo.

Resta una luce.

Spenta.

E una porta.

Chiusa.

Prima o poi tornerà a sedersi su quella sedia, lo sa, è quello l'unico posto in cui può morire sperando di rinascere.

venerdì 1 maggio 2009

Credevo di essere diverso.
Di essere cambiato.
Di aver imparato...

Invece sono sempre [nebulosamente] io.

ON AIR: Marlene Kuntz - Sonica



...fragori e albori di guerre universali, scontri letali...