lunedì 4 maggio 2009

Del profondo io e di altre disfunzioni percettive

Una sedia.

Sola.

Al centro di una stanza.

Vuota.

E una lampada appesa giusto aldisopra.

Spenta.

Silenzio che si riposa.

Improvvisa, inattesa, una mano gira il pomello, spinge, apre e indaga il muro, sfiora le pareti candide in cerca dell'interruttore. Lo trova, e lo fa scattare.

Luce.

E una stanza vuota, e una sedia. Un corpo segue la mano, e una testa segue il corpo. La testa, e il corpo, e la mano, pensano "che strano, una stanza vuota... ed una sedia". Al centro esatto, che sembra messa lì a bella posta, che quasi non ci si crede, che ti fa venir voglia di partire dai quattro angoli e muovere un passo dopol'altro, tacco e punta, e contarli per vedere se davvero quella sedia è al centro, se è IL centro.

Un po' di timore, ma quel corpo è stanco e la testa lo spinge ad avanzare, per riposare, un momento solo.

"Siedi"


Solo. Su una sedia. Strana banale coppia.

Il corpo è immobile. Le mani immobili. La testa immobile. Se qualcuno entrasse ora potrebbe pensare che sia una statua di cera messa lì a bella posta per spaventare i visitatori. Ma la luce proietta il suo cono e a guardare bene si coglie il battito delle ciglia, inconsapevole contrazione. Se poi riesci a far silenzio, ma silenzio davvero, star muto, immobile, puoi sentire lieve il respiro e scorgere impercettibile l'alzarsi e abbassarsi del torace.

Solo. Su una sedia. Ma vivo. E al tempo stesso morto.

In una stanza. Vuota. Eppure familiare.

Guarda dritto davanti e a sè, guarda fuori da una finestra.

"Ma prima c'era già?"
"E se anche non c'era cosa importa?"


Fuori scorrono scene che conosce, ricordi di ciò che era, mentre il cielo ha il colore delle sensazioni di ciò che sarà. Mille sfumature di rosso, e viola, e sprazzi di verde e blu. Oro di sole caldo, lontano, e ancor più lontano un punto, nero di un nero che non è colore, nero di paura e sofferenza.

Le mani tornano a muoversi, scorrono lungo le gambe, si posano sulle ginocchia, fanno da puntello ed ecco, il corpo è di nuovo in piedi. La testa vuole uscire, le pareti iniziano a stringersi, l'aria pare soffocare più che recare sollievo.

Resta una luce.

Spenta.

E una porta.

Chiusa.

Prima o poi tornerà a sedersi su quella sedia, lo sa, è quello l'unico posto in cui può morire sperando di rinascere.

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