lunedì 20 settembre 2010

Del ricordo dell'amore e dell'amore tra i ricordi

Credevo che l'avrei superato, che un giorno mi sarei lasciato tutto alle spalle, che mi sarei svegliato e con stupore avrei scoperto di aver finalmente smesso di chiedermi quando tutto aveva iniziato ad andare storto, quali erano stati i miei sbagli e come avrei potuto evitarli, come saremmo stati, cosa saremmo stati.

Lo credevo davvero, e per davvero ci stavo riuscendo, allontanando lentamente i pensieri dal dolore di una decisione che ero stato costretto ad accettare dopo aver compreso che non avrei potuto fare altro. Tutto questo lottare, provarci, distrarsi, solo per scoprire che il ricordo del tuo volto, dei tuoi gesti, è nascosto così in evidenza.

E bastano le parole levigate di un libro sfogliato un po' per curiosità e un po' per noia, essenziali, cancellate e riscritte fino a renderle perfette nella loro semplicità, a riaverti qui davanti, mentre parli ed eviti gli sguardi. E bastano le note di una canzone quando sembra che tra i solchi sia inciso il suono delle tue parole, la dolcezza tranquilla del tuo respiro.

Così decido di andare avanti, di scegliere una nuova strada sapendo che si allontana da te e sperando che basti, nonostante sappia che continuerò di tanto in tanto a voltarmi indietro nella speranza, i nostri ruoli per una volta invertiti, di vederti corrermi incontro tentando di raggiungermi.

ON AIR: Arctic Plateau - In Time

venerdì 2 luglio 2010

Di allontanamenti e strade che conducono a casa

Dio, era una vita che non passavo da queste parti... come stai, vecchio blog? Raccontami, cosa hai fatto in tutto questo tempo? Sei stato letto da molte persone? Hai ripensato alle cose che ci siamo detti? No, sul serio, come te la passi?

Io sto bene, ho pensato spesso di passare a salutarti ma ogni volta saltava fuori qualcosa di più urgente e meno impegnativo. Ho fatto i conti con il mio passato e sai, il saldo non è esattamente positivo, ma va bene così, sono contento.

Ora come ora mi riesce difficile fermarmi a scrivere, forse perché sono uno di quelli che pensa a lungo a quello che gli succede ma che poi tira fuori tutto d'istinto, senza preoccuparsi troppo di quello che accadrà dopo.

Eppure mi sei mancato, mi è mancato fermarmi qui per un po' a chiacchierare, cercando di trovare la corretta messa a fuoco che nella confusione del vivere è così difficile trovare.

Spesso la sera mi chiedo chi sono davvero. Si, lo faccio ancora e probabilmente non smetterò mai di farlo. A volte mi rispondo che sono io, niente altro, e che in fondo sono più che sufficiente. Altre volte avrei bisogno che qualcuno mi rassicurasse, che mi sussurrasse gentilmente che sono qualcuno, che valgo qualcosa. Quando mi sento così cerco di non soffermarmi sui miei pensieri, mi ripeto che è un momento e che passerà presto. Quando mi sento così mi ricordo del perché tu esisti e sapere che sei qui, perfettamente immobile, fermo dove ti ho lasciato, è consolante.

Quando ho scelto l'immagine che mi avrebbe rappresentato ai tuoi occhi l'ho fatto perché mi aveva colpito, mi era piaciuta da subito. Un uomo sotto la pioggia, solo con il suo ombrello. Una sagoma nera su cui spicca un cuore rosso acceso. Non pensavo che anche a distanza di tempo l'avrei sentita così mia. Mi rappresenta meglio di quanto potrebbe fare qualunque foto.

Sei stato paziente e questo io lo apprezzo, credimi. Hai assecondato i miei sbalzi d'umore senza mai farmi pesare gli innumerevoli difetti di cui pure sei stato testimone, e in cambio io ti ho aperto il mio cuore, raccontandoti e raccontandomi nella speranza di capire e di capirmi.

E adesso sto pensando a quello che ho appena scritto rendendomi conto che, come al solito, ho parlato di niente. Ma a te non dispiace, e io sono contento perché era tempo che ti ritrovassi. A presto, vecchio blog... a presto.

ON AIR: Tim Hanauer - Dream a Better Way

venerdì 28 maggio 2010

Per te che non hai volto eppure sei così presente

Per le tutte le parole che abbiamo detto, che sono solo parole eppure a volte sono tanto concrete che le puoi toccare.
Per i sentimenti che non puoi ignorare.
Perché, soprattutto quando non ci credi, sei speciale.

Perché tu non smetta di credere in te finché c'è qualcuno che ha fiducia, ed io in te ci credo.

ON AIR: Depeche Mode - Precious

lunedì 15 marzo 2010

Me, myself and everyone who wants to come [chapter 1]

Ho sempre pensato di me che sarei diventato un uomo in carriera, uno di quei colletti bianchi chiusi nel loro bell’ufficio a lavorare per far si che il mondo continui a girare. Credevo di essere indispensabile, come se ogni cosa senza di me potesse smettere di esistere. “Se un albero cade in una foresta dove nessuno può sentirlo, fa rumore?”, è una domanda che mi pongo spesso, si tratta di un concetto che mi affascina. Un tempo avrei risposto che lontano da orecchie attente non può esistere suono. Ma il tempo mi ha cambiato, oggi credo che anche nel più assoluto silenzio il rumore dello schianto sarebbe assordante e pensare a questo mi fa rivalutare anche le convinzioni che avevo elaborato su di me. Non sono indispensabile; la mia presenza è temporanea, la terra che calpesto, il sole che la riscalda, la pioggia che la bagna, esisterebbero anche se io non ne avessi coscienza. Le impronte di qualcun altro copriranno le mie, scorderò i posti in cui i miei passi mi hanno condotto ma quei posti continueranno a vivere e a farsi ammirare da chi ci arriverà dopo di me. E chi li guarderà avrà occhi diversi, noterà cose che a me sono sfuggite, lasciando altre impressioni e altri ricordi.


Quello che voglio dire è che non sento più il bisogno di dimostrare al mondo chi sono. Intendiamoci, non dico che non mi piacerebbe essere ricordato, penso sarebbe bello che qualcosa di me mi sopravvivesse, del resto la vita è così breve che è impossibile non sognare di poter raggiungere l’immortalità. Si, mi piacerebbe dare il mio piccolo contributo al mondo, renderlo, in qualche maniera, un posto più bello, ma finalmente mi rendo conto che non è poi così importante e che tutto quello che si può fare, qui e adesso, è vivere guardandosi attorno con continua meraviglia, ringraziando di poterci essere e di poterne parlare.


C’è una cosa che però desidero da che ho memoria dei miei sogni. E’ la mia casa, non semplicemente una casa, un luogo da raggiungere dopo una giornata di lavoro, non soltanto quattro mura che mi separino da tutto ciò che è fuori, no, è la mia casa. E la immagino piccola, accogliente, luminosa. Si, vorrei che la mia casa avesse tante finestre, vorrei che fosse inondata dalla luce del sole per tutto il giorno, e che i raggi del sole scolpissero ogni oggetto al suo interno tracciandone nettamente i contorni. Mi piacerebbe essere accolto, non appena aperta la porta, dal profumo di fiori che so non avrei la pazienza, o la costanza, di curare. Tappeti coprirebbero il pavimento, perché per sentirla davvero mia dovrei sentirla, con tutto il corpo, stendermi per terra a guardare in su immaginando su di me non un semplice soffitto bensì un intero cielo punteggiato di stelle. E librerie a tappezzare le pareti, riempite fino a traboccare dei libri che ho letto, quelli che ho amato, quelli che leggerò, e delle canzoni che ascolto, quelle che mi fanno pensare al passato assieme a quelle che mi spingono verso il futuro. Le pareti sarebbero colorate, che il bianco asettico non fa per me, ma non una scelta casuale. Ogni angolo avrebbe il suo colore, perché ogni angolo sarebbe associato a un particolare stato d’animo; e poi vorrei che un muro rimanesse libero di parlare di me, delle parole che scrivo, delle immagini che porto dentro e che nemmeno so come esprimere. Vorrei che il cuore della mia casa fosse racchiuso in un divano, grande e comodo, su cui rilassarmi quando sono solo e dove invitare a sedere ospiti e amici per chiacchierare, discorsi futili o questioni di importanza suprema, vorrei che la mia casa facesse sentire chi vi entra a proprio agio, libero da qualsiasi tipo di formalismo. Appenderei quadri alle pareti, e un milione di foto per non dimenticare mai chi sono. Vorrei che la mia casa fosse come me.


Forse però il problema vero è che neppure io sono sicuro di sapere chi e cosa sono. C’è stato un momento in cui credevo di averlo capito, sentivo che forse, finalmente, il mondo aveva deciso di accogliermi e di svelarmi quale sarebbe stato il mio futuro. Solo col tempo ho capito che quella che avevo preso per illuminazione era in realtà solo un temporaneo abbaglio. La luce sfolgorante di quello che avevo a lungo e intensamente desiderato mi aveva abbacinato e confuso. Prenderne coscienza non è stato affatto né facile né tantomeno piacevole. Ho dovuto rinunciare ad alcune certezze, a partire da quelle sull’amore e sul destino, e queste crollando, ne hanno inevitabilmente trascinate con sé altre. Chissà, a pensarci questo ribaltamento di prospettive potrebbe essere stato un bene, considerando che mi ha portato a interrogarmi su chi sono. Ho dovuto ricominciare dalle fondamenta ad edificare una nuova consapevolezza di me e non è semplice, i preconcetti più difficili da cancellare sono quelli che riguardano sé stessi.

giovedì 4 marzo 2010

Quando tramonta il sole, arriva sempre la luna

Stanco d'essere deluso.

Parole di scuse, la voce deve essere ferma se vuoi che si sentano.

E guardare dritto negli occhi chi ti pugnala al petto dicendogli "certo che sto bene, che vuoi che sia!".

Perché di una sensibilità diversa non ha colpa nessuno.

E nessuno si chiede "ma la sua, di sensibilità... qual è?".

Meglio smettere di pensare, di preoccuparsi, di domandarsi in cosa hai sbagliato, meglio dormire.

ON AIR: Poets Of The Fall - Sleep

mercoledì 27 gennaio 2010

Estemporaneo

Ho smesso di studiare da non molto, ho preparato una cosa da mangiare al volo e stavo per piazzarmi in panciolle davanti alla tv (stasera "In America" di Jim Sheridan, e rendiamo grazie al digitale terrestre che ancora offre qualcosa di buono, degraderà presto anche lui?) ma mi sentivo stranamente inquieto, come se ci fosse ancora qualcosa fuori posto in questa giornata.

Poi mi sono reso conto che non si tratta di questa giornata, ma di questa e molte altre prima di questa che si sono sommate una ad una come grani di un rosario e forse è solo che sto iniziando a scontare le mie pene.
Parole al vento (o dust in the wind, per dirla con i Kansas), parole che andrebbero dette, perché imbrigliarle non serve, prima o poi il modo di venir fuori lo trovano ugualmente. Quindi dico al vento che non so più cosa pensare.

Ho creduto a certi proclami, sono sicuro che fossero sinceri, almeno al momento. Invece ora penso a chissà quante cose hanno nascosto quelle parole che arrivavano sempre al momento giusto. Come se dirle fosse così scontato che non farlo sarebbe stata una mancanza troppo evidente. A me quelle parole piacevano, mi facevano sentire in qualche maniera presente. Alcune le ho conservate e confesso che ogni tanto vado a rileggerle, forse è un modo per non dimenticarmi di me.

Invece negli ultimi giorni mi hanno provocato soltanto un diadema di rughe a forma di punto interrogativo in mezzo alla fronte. Perché, penso io, "se era tutto vero, il desiderio di fare un passo prima o poi viene". E mi rispondo che "forse non era tutto rosa, forse c'erano anche il grigio e il nero, e il viola e il blu scuro scuro delle notti senza luna". Pero' io questi colori non li vedevo e avrei voluto che me li avessero fatti notare, chissà, se l'avessero fatto forse ora non mi sentirei così.

Così...
Come uno strano.
O come uno insignificante, che magari saluti con uno sguardo e un mezzo sorriso per strada perché lo incroci tutte le mattine sempre allo stesso punto, ma di cui ti dimentichi appena passato oltre.
Come uno che a volte cede troppo e a volte troppo poco al proprio orgoglio. Come uno che ha smesso di crederci.

A volte bastano cinque minuti, altre addirittura il solo tempo di un saluto.