martedì 10 giugno 2008

Vecchie storie

Qualche anno fa scoprii di nutrire un certo interesse nei confronti della letteratura russa e mi avvicinai a Dostoevskij. La prima opera che lessi fu un romanzo breve intitolato "Le notti bianche". Di recente ho dato una sistemata ad alcuni dei libri che ho in casa e, tra gli altri, c'era anche lui. L'ho preso e ne ho sfogliato alcune pagine, ho riletto alcune frasi, e mi sono tornate alla mente le sensazioni che provai all'epoca della sua lettura.

La storia parla di un giovane "sognatore" (personaggio particolarmente caro a Dostoevskij e che per tutto il romanzo resta senza nome) che durante le cosidette notti bianche (che in seguito scoprii essere chiamate così perchè il sole in quel periodo dell'anno tramonta dopo le 22), in una Pietroburgo deserta, incontra una ragazza, Nasten'ka, che aspetta da ormai quasi un anno il ritorno del fidanzato.
L'intera vicenda è racchiusa in quattro intense notti in cui i ragazzi si avvicinano, imparano a conoscersi, in cui lui arriva persino ad innamorarsi e a sperare che quella fanciulla possa strapparlo alla sua vita spenta e ai suoi sogni evanescenti. La città disabitata diventa l'immenso palcoscenico di una storia d'amore delicata, tenera, sublimata. Una panchina unisce i giovani... e la stessa panchina li separa la quarta notte, quando Nasten'ka racconta con gioia al ragazzo del ritorno del suo fidanzato. Un'altro sogno infranto, un nuovo brusco risveglio per chi ha creduto di aver incontrato la sua anima gemella.

Durante i bei tempi che furono rimasi affascinato da questo racconto, colpito dalla dolce malinconia che l'autore era riuscito a raccontare. Oggi invece credo di averlo compreso in maniera diversa, forse più profonda; sento che nonostante due secoli di differenza il protagonista ed io siamo simili... tutta la vicenda richiama alla mente storie vissute, piccole gioie, dolori che increspano il cuore, appena nascosti sotto la sottile superficie della normalità di facciata.

Penso all'amore, a quanto è bello e misterioso e doloroso, a quanti lo hanno raccontato e in quanti modi, e soprattutto alla fortuna di chi può dire di averlo incontrato e riconosciuto.

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